(di Aleardo Noli, liberamente tratto da “Notizie storiche di Porlezza e Pieve” del Reverendo Don Enrico Frigerio, Prevosto di Porlezza dal 1905 al 1933)
Le valli lacuali odierne altro non erano che le fenditure plioceniche occupate dal mare padano, come dei golfi interni, somiglianti nella forma ai fiordi norvegesi.
La valle del Po, coperta dal mare, anch’essa grande golfo interno, con sfogo nell’Adriatico.
Durante l’epoca glaciale, nella valle del Ceresio penetrò il ghiacciaio abduano, il quale, avendo il suo piede nelle onde del mare, lasciò cadere potenti quantità di detriti di calcare.
Lentamente si innalzò a Porto Ceresio e a Capolago odierni, un grande sbarramento alluvionale; una diga che arrestò l’afflusso dell’acqua lacustre quando scomparve il ghiacciaio e impedì al mare di rientrare nella valle, già da esso occupata.
Prima dell’epoca glaciale, il lago di Como, mediante la Valle Menaggio-Porlezza, era in comunicazione con quello di Lugano; a sua volta quest’ultimo, per la Valle della Tresa, era comunicante con quello Maggiore. Terreno predominante della regione porlezzese la dolomia media, l’infralias e il lias.
Nel periodo glaciale, su questi monti appaiono segni della presenza e della successiva ritirata dei ghiacciai.
I ghiacciai dell’Adda e del Mera, confluendo sopra la piana di Colico, formarono una morena mediana sull’asse del lago di Como. A sua volta questa morena, prima di urtare contro i monti della Valsassina (che dividono il Lario nei due rami), stese un braccio laterale destro e, percorrendo la Val Menaggio, passò sul lago di Lugano. Altri piccoli ghiacciai dovettero prolungarsi dalle prealpi sulle valli del Cuccio e del Rezzo.
Gli enormi ammassi morenici dovettero occupare gli antichi sbocchi, e dar luogo così alla divisione dei tre laghi.
I ghiacciai, nel ritirarsi, lasciarono sui monti e nelle valli, prima occupati da essi, depositi di massi erratici, nonché pietre varie ed argilla.
Diversi esempi si trovano infatti, specie sul Monte Calbiga, nonché di argille, atte alla fabbricazione di laterizi fin quasi 1300 m. s.l.m.. Queste argille favoriscono la rigogliosa crescita di selve e boschi, caratteristica peculiare di questa montagna cupa e verdeggiante.
Masso erratico singolare per dimensioni e locazione è il ben conosciuto “Sasso Bianco”, per trovare il quale è bene seguire il tracciato che da San Maurizio porta alla Granisciola (presso la quale esiste una altro masso erratico), e per la strada detta “dei cavalli” raggiungere l’Alpe del Gori.
Al di là del Tremezzolo, sotto la sommità del monte, al riparo di alte piante, il grande colosso, biancastro, di forma irregolare. Le sue dimensioni sono notevolissime: circa 15 metri per 13 metri, sporgente a monte per 22 metri fuori terra, e a valle per 11 metri circa. Altri massi erratici sono sparsi sul declivio. Il ritorno si può fare passando dall’Alpe di Claino e Santa Giulia.
Il lago di Lugano non possiede le riviere amene del lago di Como, né isole come la Comacina; tuttavia esso possiede bellezze naturali tali da tenerlo alla pari con i più celebrati fratelli di Como e Maggiore. Austero e ridente, con intorno alte montagne lussureggianti, ridenti spiaggette e orridi dirupi.
Eccelse rocce e splendori che l’onda rifrange, tutto ciò rende allettevole il lago di Lugano, cui natura diede tocchi grandi e si liberi per dipingervi le sue scene.
San Maurizio 23-09-79
Il braccio orientale del lago, a Porlezza, è largo Km. 1,600 dalle gallerie a Darna, ed ha una profondità massima di m. 240. L’acqua è di colore bruno da Porlezza a Gandria, e nei suoi recessi trovano i loro habitat diverse specie di pesci, fra cui il pesce persico, la cazzuola, il ghiozzo, la bottatrice, la carpa, la tinca, l’alborella la trota, il pigo, il cavedano, il luccio e l’agone, nonché l’anguilla. La prima immissione di avannotti nel lago fu eseguita il 25 febbraio 1876; successivamente semine furono fatte, visto il positivo risultato di queste prima, sia dall’Italia che dalla Svizzera.
Nella fauna del Ceresio trovano posto anche gli uccelli acquatici, e si citerà il Martin Pescatore, il Gabbiano, il Nibbio; tra i mammiferi la Lontra.
Fu il 13 agosto 1848 che il lago ebbe le acque solcate dal primo piroscafo: il “Ticino” facente servizio tra Lugano e Capolago. Le prime corse che servirono le nostre plaghe furono effettuate nel 1856.
Da quest’anno in avanti aumentarono pure il numero dei piroscafi che facevano il loro lodevole servizio tra gli approdi dei nostri paesi, fino al numero dei 12 natanti (1913).
San Maurizio 01-06-66
I primi abitanti di queste nostre remote terre, di cui si abbia vaga notizia, al di là delle supposizioni che raccontano le leggende, sono i Gauni, che diedero l’appellativo alle nostre sponde quali “Gaune sponde”. Una spiegazione abbastanza verosimile delle sigla che adorna lo stemma della città di Lugano, “LVGA” è quella che vuole queste lettere indichino “Legio Quinta Gauni Auxiliares”; data la posizione eccentrica delle nostre plaghe, si può congetturare in quale stato di privazioni vivessero i primi abitatori delle nostre terre.
Sulla posizione nella quale sorgesse un tempo la primitiva Porlezza, Cesare Cantù scrive: “L’antica Porlezza fu coperta da una frana del Monte Calbiga, dalla quale vedesi ancora sporgere il Campanile di S. Maurizio “. Antichissimamente è probabile che alle falde del monte anzidetto vi fossero delle primitive abitazioni, ed addirittura un primitivo porto.
Porlezza, nell’antichità, generalmente è indicata con “Porletia” spesso “Prolectia” e “Proletia” in diversi atti “Porlexe” – “Portolexe” e si trova anche “Portus Laetitiae” ad indicare l’amenità del luogo, ma anche luogo di approdo e sbarchi.
Il nome italiano Porlezza figura nelle sale Vaticane nella carta geografica fatta da Romano Alberti, disegnatore del sec. XVII.
Durante il periodo romano non abbiamo traccia di storia di Porlezza, certamente non risparmiata dalle invasioni romaniche, benché protetta dal castello, i cui resti fanno supporre fosse situato nelle adiacenze del primitivo molo, tra la strada di Roano, ed il lago. Nel 1826 fu definitivamente ristretta e sistemata la linea di mura difensive del borgo identificabile con lo scorrere del torrente Avanzone.
Poiché da ogni male deve pur scaturire qualcosa di positivo, dalle sventure delle nostre povere terre si ebbe il ritorno dalle città, dove s’erano rifugiate per non soccombere ai barbari invasori (specie gli Ungari, 900 a.c.), delle famiglie già fuggitive, le quali disseminarono nelle nostre montagne prealpine le civiltà di arti e mestieri, che ancor oggi suppliscono alla sterilità di queste nostre erte pendici.
(di Aleardo Noli, liberamente tratto da “Notizie storiche di Porlezza e Pieve” del Reverendo don Enrico Frigerio, Prevosto di Porlezza dal 1905 al 1933, inedite)
Il Monastero di S. Maria, detto “del Senatore” dal nome del figliolo di Alboino e sposo di Teodolinda, in Pavia, venne messo dal suo fondatore sotto il Governo e a difesa della Sede Apostolica. Berengario II, re d’Italia con il figlio Adalberto, assegnarono alle monache del detto Monastero di Pavia la “Corte di Porlezza”, con diploma emesso in Pavia il 22 Settembre 951. In tale diploma si menzionano diritti di navigazione lacuale concessi alla predetta Corte di Porlezza, e si nomina “Porto Cucio”, intendendo che alla foce del torrente Cuccio doveva esserci un porto, di spettanza del medesimo Monastero.
Della Corte di Porlezza si parla pure in un documento che rievoca un piccolo scisma, una rivolta, avvenuta nel governo del detto Monastero del Senatore. Papa Eugenio III tolse poi la Corte di Porlezza al Monastero del Senatore, per donarla al Monastero Maggiore in Milano.
Divenute così le monache di Milano signore di Porlezza, ebbero tutti i beni già goduti da Pavia, i diritti di pesca e di porto sui fiumi, i pascoli e le terre alla falde del Monte Galbiga. Può essere che appunto alle falde di questo monte abbiano fatto erigere con il popolo di Porlezza una Chiesa dedicata al tribuno S. Maurizio, poiché era il loro protettore. Nel 1210, Alberto de Domo di Varenna acquista dall’Abadessa del Monastero Maggiore di Milano tutti i redditi ed i diritti in Porlezza e nella Pieve.
Porlezza divenne poi per varie vicende dominio degli Arcivescovi di Milano, e la storia di questo Feudo inizia nel 1470, quando esso fu dato da Galeazzo Maria Sforza ad Ambrogio Longagnana. Non si sa per quanto tempo il Feudo rimase in possesso dell’Arcivescovo milanese. Probabilmente risale al 1450 l’anno in cui l’Arcivescovo ottenne in commoda o commenda la Corte di Porlezza. Sicuramente però detta Corte nel 1562 già apparteneva alla Vicinanza di Porlezza, poiché se ne fa cenno in un istrumento datato 6 agosto di quell’anno, rogato da certo Cristoforo Vaccari.
Porlezza ebbe una sua parte nella decennale guerra che, nel 1118 oppose Milano a Como. La guerra toccò i dintorni di Porlezza, quando Landolfo da Carcano, nobile milanese canonico metropolitano, si rifugiò nel castello di S. Giorgio presso Maliaso sul lago di Lugano; i comaschi guidati dal Vescovo Guido assalirono il castello e fecero prigioniero Landolfo, uccidendo i nobili milanesi Ottone e Lanfranco. Milano, impressionata da questo smacco, domandò vendetta. Con alterne fortune, la guerra si trascinò per dieci anni, e Porlezza fu sempre dalla parte di Milano. Nel 1122 fu fortificata la spiaggia di Porlezza, dopo la distruzione delle navi milanesi nel porto di Lavena.
Durante quell’inverno, si lavorò di gran lena per approntare nuovi vascelli a Porlezza, con l’aiuto di Isola Comacina. Così ben preparati, i Milanesi attaccarono i comaschi al castello di San Michele presso Cima, ma la riconquista del castello è impossibile. Tornano allora stremati, avviliti, a Porlezza.
Si avviano allora trattative per la pace. L’Arcivescovo Anselmo, però, venuto in quel di S. Michele per trattare, fu sbeffeggiato e tornò a Milano senza nulla aver ottenuto da comaschi. Con l’aiuto di fanti venuti attraverso la Val d’Intelvi, i comaschi ingaggiano battaglia lacuale a Porlezza. Dapprima hanno successo, ma i milanesi, con uno stratagemma, salgono sulla montagna e di lì tempestano i comaschi di pietre e frecce; è la fine per le file dei guerrieri comaschi. Como s’appoggerà poi al Barbarossa invasore per riconquistare le terre di Porlezza. Dopo la battaglia di Legnano, però, cessò il dominio comense: non cessarono le guerricciole tra paesi partigiani di Milano e paesi parteggianti per Como.
L’imperatore Federico II, con decreto del 1240, stabilì che Porlezza e la sua pieve passasse sotto il dominio della Chiesa di Como, per castigare la fedeltà dei Porlezzesi verso Milano; impegnato però detto Imperatore altrove per molte altre cose, non si curò dell’esecuzione di questo decreto, che rimase sempre lettera morta; Porlezza resterà così nei secoli ambrosiana terra.
Nel secolo XI i Comuni lombardi, mal sopportando il dominio dei nobili, anelavano alla libertà. Anche la Chiesa a sua volta, era divenuta insofferente al dominio imperiale; questi moti si sparsero anche nelle nostre plaghe, che già erano vincolate a Milano dal rito religioso. Per quanto il Clero di quell’epoca non fosse sempre all’altezza del proprio ministero, tuttavia qui sopperiva con la carità ai fabbisogni delle nostre popolazioni; di preferenza, il Clero amava allora occuparsi più delle cose materiali e terrene che delle cose spirituali e celesti, sull’esempio dell’Arcivescovo guerriero Ariberto d’Intimiano.
La vittoria di Legnano sull’odiato straniero, veniva accolta anche nei nostri posti con giubilo; si formarono comunità per superare le difficoltà di un’esistenza grama e per procurare maggior bene sociale.
Parleremo ora di come erano organizzate, attorno al 1660, le Comunità dei nostri territori, segnatamente quella di Porlezza. Vi erano gli abitanti più antichi del paese, ed erano chiamati “Vicini”; vi erano poi quelli da poco qui, ed erano chiamati i “Forestieri”. In questa organizzazione, vi erano i Consoli, i quali percepivano un salario e deliberavano nell’Asta della Vicinanza i seguenti balzelli: il “Terratico”, tassa sui terreni, il “Pontatico”, tassa per il passaggio di imbarcazioni; il “Navolo”, nolo di imbarcazioni; la pesca nel Cuccio, nel Rezzo e nell’Agadone, nonché sulla riva della piazza. Si mettevano poi all’asta della Vicinanza i vari terreni, prati, boschi e pascoli.
I pescatori dovevano portare il pescato alla riva del lago e venderlo alla “Croce”, in un ora; la Vicinanza stabiliva il prezzo del pesce; la Vicinanza si interessava poi, con parte dei proventi, di manutenzionare le varie Croci nel territorio di Porlezza, stazioni delle processioni religiose. La Vicinanza si interessava anche della manutenzione delle strade e degli argini dei fiumi e dei ponti sugli stessi. Regolava pure il funzionamento del mercato, che si teneva anche allora di sabato lungo i portici della via principale.
Altre cariche nelle comunità di quei tempi erano: il Podestà, il Quaresimalista, lo Scolastico, il Cancelliere, l’addetto all’orologio, l’addetto alle sistemazioni delle Croci, l’addetto alle processioni e l’organista.
Nella Vicinanza avevano diritto ad esservi tutti i fuochi o famiglie che pagassero delle tasse, e dovevano presenziare i due terzi degli aventi diritto, affinché l’assemblea avesse valore. La Vicinanza si poteva comperare, e comportava del relativi privilegi, quale ad esempio il diritto a pagare minor tasse. Nelle Vicinanze troviamo alcuni nomi di famiglie di cui ancora esistono tracce, mentre alcuni sono spariti da moltissimi anni.
In epoca imprecisata, si costituì la “Pieve di Porlezza”; essa era formata da dodici Comuni, e precisamente Carlazzo, Porlezza, Cavargna, Corrido, Cusino, Gottro, Piano, San Bartolomeo, San Nazzaro, Tavordo, Buggiolo e Seghebbia. Tale associazione serviva per alcuni interessi materiali, e risale presumibilmente attorno al secolo XII. La maggior parte di questi Comuni, in epoca antecedente, formava il Feudo di Porlezza; esso ebbe però minor durata e diverse caratteristiche rispetto alla Pieve.
Ed ora, vediamo alcuni aspetti di questa antica Pieve. Ai tempi della dominazione estense, questa Casata era circondata da rispetto e si usavano buone maniere quando qualche componente di famiglie di detta Casata arrivava a visitare questa parte dei loro domini.
Al ducato di Milano, attorno al 1700, si pagavano lire imperiali quattrocentosettanta per anno; la Pieve concorreva a fornire manodopera per le fortificazioni anche fuori dal proprio territorio; essa fissava i prezzi di vendita della produzione vinicola e del grano. La casa del Pretorio, possessione della Pieve, si trovava in via degli Orti, e fu venduta nel 1857 a Giacomo Agliati per lire austriache duemila. L’estremo limite del territorio milanese era costituito da Porto Ceresio, e rappresentava l’unico punto di riferimento, per via lacuale, per Milano.
La fine della vecchia Pieve di Porlezza si ebbe a motivo e durante la dominazione spagnola, una dominazione cieca e rovinosa per le nostre comunità. Poi arrivò la dominazione austriaca ed il breve passaggio della dominazione francese.
Ma in ogni modo, i tempi erano cambiati, ed ogni Comune, all’inizio del 1800, si mise ad amministrare per conto proprio. La Pieve di Porlezza era durata ben sette secoli.
Il primo Feudatario di Porlezza fu Ambrogino di Longagnana, che ricevette investitura da Galeazzo Maria Sforza, Duca di Milano, il 20 marzo 1470. Uomo degno e oggetto d’ogni riguardo da parte del Duca, Ambrogino ebbe pieno governo su Porlezza in ogni suo aspetto, ad eccezione delle gabelle del sale e dei dazi di marcatura e terratico.
Nel 1480 il figlio del Longagnana, Orlando, vendette il Feudo di Porlezza a Stanga Marchesino. Nel 1486 Giovanni Galeazzo Sforza investì il Conte Ugo Sanseverino, e l’anno 1497 il Feudo passò al di lui figlio Americo. Questi, a sua volta, alienò ad Oldrano Lampugnano da Milano i dazi ed i proventi tutti di Porlezza e Pieve.
Dopo di Americo Sanseverino, venne investito il conte Paolo Camillo Trivulzio. Nel 1521 il figlio Giovanni.
E’ il 1526 l’anno in cui Porlezza passa sotto il dominio di Gian Giacomo De’ Medici, riconosciuto dal luogotenente di Carlo V, Antonio De Lejva. Gian Giacomo De’ Medici era già castellano di Musso. Egli verrà poi costretto ad abbandonare le terre di Porlezza e di Valsolda, già da lui occupate con la forza, nel 1532. Andandosene, demolirà il Castello di Porlezza ed i forti in Valsolda.
Gioverà qui ricordare che nei secoli XV e XVI le scorrerie e le ribalderie erano avvenimenti spesso ricorrenti. Ricorderemo alcuni fra i più temibili predoni che in quei tempi infestavano Porlezza e territori limitrofi: Franchino Rusca, che intorno al 1442 si impossessa di Porlezza; Francesco Morone, il quale, alla testa di ribaldi e di quattromila Grigioni, saccheggia queste terre, finché viene fermato da Giovanni della Polesia a Sorico.
La storia di Porlezza e Pieve registra i nomi di altri mitici predoni: Certo Matto e suo figlio Giovanni, Antonio di Quadrelli detto “Gibele”, che sarà poi impiccato a Menaggio nel 1517; il flagello dei Cavargnoni, sotto la guida del feroce Medeghino.
Questi riuniva presso Musso un’accolita di furfanti e malvagi della peggior specie per compiere incursioni.
Tornando all’elencazione dei feudatari, troviamo che a Gian Giacomo De’ Medici successe Giovanni Trivulzio, e quindi Sigismondo d’Este, che diede così inizio alla lunga presenza di questo nobile casato in Porlezza. Tale casato si estinguerà, infatti, solo nel 1752, con la morte dell’ultimo feudatario di Porlezza, Borgomanero e Belgioioso, il Principe Don Carlo Filiberto d’Este.
Le vicende politiche per le terre porlezzesi si fecero convulse dopo il trattato di Rastatt (1714), per effetto del quale il Ducato di Milano passò agli Austriaci. Gli Spagnoli lasciarono così queste zone, senza aver apportato il benché minimo progresso, né alcuna opera pubblica.
Sotto la dominazione austriaca, a Porlezza approda l’arte della fabbricazione del vetro. Cacciati dal Francesi nel 1796, ritornano nel 1799; di nuovo i Francesi nel 1800; infine si ha con Napoleone I il Regno d’Italia, e si ritorna al governo asburgico, che trova nell’I.R. Commissario trista figura repressiva, ben rappresentante la durezza della dominazione austro-ungarica.
Porlezza ritorna libera nel 1859 e rimane capoluogo del XI Mandamento, con sede di Pretura e Tribunale. Sarà nel 1892 che Menaggio avrà la sede pretorile unica. Da annotare che nel 1863 Giuseppe Mazzini passa da Porlezza, tornando in Italia dall’esilio di Lugano, per da vita al Partito d’Azione.
Nel 1927 Porlezza, Cima e Tavordo formano unico Comune di Porlezza.
Per quanto riguarda lo sviluppo economico delle nostre plaghe, occorre citare l’industria del vetro. Sotto la direzione dei primi proprietari, i signori Lepori-Campioni, lavoratori specializzati giunsero da Svizzera, Francia e Germania. La proprietà della vetreria passò poi a Luigi Campioni, ed in seguito ai fratelli Luraghi. A Porlezza si fabbricavano dapprima bottiglie, in seguito anche lastre. Un dissesto finanziario costrinse i proprietari purtroppo alla chiusura.
Nel 1863 la Regia Prefettura di Como concesse all’ing. Bruschetti ed ingegneri associati di iniziare gli studi per una ferrovia Porlezza-Menaggio.
Dopo parecchi anni di pratiche, verso la fine del secolo la ferrovia era compiuta.
Lo stabilimento per la lavorazione della seta ha dato, nel periodo migliore, lavoro a settanta operai ed operaie, mentre l’agricoltura da sempre è stata fonte di sostentamento per le famiglie, anche se da noi non la si è mai potuta considerare in modo intensivo come in altre località.
(di Aleardo Noli, liberamente tratto da “Notizie storiche di Porlezza e Pieve” del Reverendo don Enrico Frigerio, Prevosto di Porlezza dal 1905 al 1933, inedite)
Non v’è dubbio che, tra le famiglie che durante i secoli hanno dato lustro a Porlezza, la più celebre sia stata quella dei Della Porta.
Il Vasari afferma, di Gian Giacomo Della Porta, essere egli stato discepolo del Gobbo, sotto la cui guida pose mano a molte opere.
Nel 1491 Gian Giacomo ricevette invito dal Principe di Stigliano di recarsi a Sabbioneta per preparare nobile sepoltura al suocero del Principe, Vespasiano Gonzaga; tale cappella funebre sorse, per mano del Della Porta, ricca ed elegante nella Chiesa dell’Incoronata. Nel 1527 egli fu architetto del Duomo di Milano, poi passò a Genova, col nipote Guglielmo. Parecchie opere di Gian Giacomo Della Porta sono nella Certosa di Pavia, segnatamente nel sepolcro di Gian Galeazzo e sulla facciata della Certosa stessa.
Sempre secondo il Vasari, Guglielmo Della Porta nacque a Porlezza intorno al 1500, imparò l’arte scultoria presso il sunnominato zio Gian Giacomo, che lo chiamò a Milano, ove egli si recò verso il 1530, con grande giovamento ed apprendimento.
Con lo zio si recò poi a Genova, lavorò sempre con Gian Giacomo, mentre si perfezionava nel disegno con Perino il Vago. Numerose opere eseguì in questa città, sia per chiese che per privati, nello spazio di sei anni. Quindi passò a Roma, dove, attraverso Fra Bastiano (pittore di Venezia), fu indicato al sommo Michelangelo, che si affezionò a Guglielmo, vista l’attitudine e l’applicazione che egli poneva nell’artistico suo lavoro.
Michelangelo introdusse il Della Porta in casa Farnese, e quindi, vista la buona riuscita dei restauri in questi palazzi, fu presentato al Papa.
Nell’anno 1547, Fra Bastiano morì; poiché il defunto era addetto all’Ufficio del Piombo, questa carica passò a Guglielmo, che ebbe l’incarico di preparare il mausoleo per il Papa stesso, Paolo III; quest’opera si può ammirare tuttora in San Pietro, e rappresenta il capolavoro dell’artista.
Guglielmo Della Porta lavorò molto a Roma, e tenne per quasi trent’anni l’Ufficio dove si portavano le bolle pontificie per l’apposizione del Piombo, ovvero del sigillo papale.
Agli effetti civili ed ecclesiastici, l’addetto all’Ufficio del Piombo era considerato frate (a tale carica assunse anche il Bramante).
Dal testamento di Guglielmo Della Porta si può desumere che egli, figlio di Cristoforo, fosse nato a Porlezza, ed avesse possessioni in Luggino.
Occorre ricordare che Guglielmo Della Porta progettò e volle nel suo podere un Oratorio, originariamente dedicato agli Apostoli Pietro e Paolo, oggi Oratorio dedicato a S. Carlo Borromeo, in quel di Loggino.
Parente di Guglielmo era Giovanni Battista Della Porta, nato a Porlezza nel 1542, morto a Roma nel 1597, abilissimo scultore. Fra i suoi lavori, una colossale statua di S. Domenico nella Chiesa di S. Maria Maggiore in Roma.
Fratello del precitato Giovanni Battista, Tomaso Della Porta, allievo di Guglielmo, altro scultore esimio, lavorò pure in Roma, con opere sia sacre sia profane.
Antonio Della Porta, detto il Tamagnino, lavorò con il Briosco alla Certosa di Pavia (1491), indi con i lombardi Solari alla Sacra Casa di Loreto, dove scolpì gli angeli dentro la Madonna dei Miracoli.
Da ricordare Giovanni Della Porta, avo di Giacomo, nato a Porlezza nel 1480, nonché Bartolomeo, figlio del nominato Giovanni, nato pure a Porlezza verso il 1507, scultore, che lavorò a Pavia e quindi a Roma.
Giacomo Della Porta nacque a Porlezza nel 1532. Figlio di Bartolomeo, passò a Roma, studiò architettura con Giacomo Barozzi detto il Vignola, divenne architetto di S. Pietro sotto il pontificato di Sisto V, e fu prescelto, con Giacomo Fontana, ad eseguire la cupola di S. Pietro, progetto di Michelangelo Buonarroti, che presentava invero difficoltà altissime per l’appunto riguardo l’esecuzione materiale di detto progetto.
Giacomo Della Porta fu pure incaricato per proseguire la fabbrica in Campidoglio (disegno di Michelangelo), e della Chiesa del Gesù, sempre in Roma, questa su disegno del Vignola. Questa Chiesa fu oggetto da parte di Giacomo Della Porta d’un profondere di stucchi, ori, marmi, sculture ed ornamenti. Altre opere fece ancora in Roma anche per l’edilizia privata (palazzi Serlupi Gottofredi, Niccolini e Marescotti); nonché disegni di fontane. Elegante monumento resta la Villa Aldobrandini in quel di Frascati (“Belvedere”).
Lavorò fino a tarda età e morì in Roma nel 1602. La sua famiglia, nobilitata da matrimoni con personaggi di alto rango, è sopravvissuta per secoli; questo fu l’ultimo degli artisti della famiglia Della Porta, che ha rappresentato, nei periodi di maggiore splendore per le Belle Arti a Roma ed in Italia, esempi di genio artistico e di fama per la natia Porlezza.
Per vedere le opere dei Della Porta visita i siti:
La Scultura Italiana
http://www.scultura-italiana.com/Galleria/Della%20Porta%20Guglielmo/index.html
RomeGuide
http://www.romeguide.it/monumenti/fontane/
GUGLIELMO DELLA PORTA- TOMBA DI PAPA PAOLO III (FARNESE)
ROMA S. PIETRO 1575
ISCRIZIONE ANCORA VISIBILE SULLA FACCIATA DELLA CHIESA DI S. CARLO
LA CHIESA DI S. CARLO IN LOCALITA’ “LUGINO O LUGGINO” FRAZ. TAVORDO